Omelia del 30 agosto 2020. XXII Domenica del T.O. / A.

“Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno”. Gesù cominciò a preparare i suoi discepoli a ciò che gli sarebbe accaduto andando a Gerusalemme, individuando gli uomini che lo faranno “soffrire molto”, “anziani, capi dei sacerdoti e scribi”, e prevedendo che sarebbe stato ucciso ma, insieme, che sarebbe risorto: “venire ucciso e risorgere il terzo giorno”. Gesù ha legato le previsione della sua uccisione alla sua risurrezione. Questo collegamento tra la morte e la risurrezione, che sulla bocca di Gesù era d’importanza fondamentale, è sfuggito a Pietro, il quale, per l’affetto che aveva per Gesù, “lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: “ Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai”. Ma Gesù, voltandosi, disse a Pietro: “Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”. “Secondo gli uomini”, cioè secondo la logica umana, non doveva succedere che Gesù, Santo, Innocente, dovesse “soffrire molto e venire ucciso”; “secondo Dio”, invece, cioè secondo la Sapienza di Dio, proprio questo doveva accadere. Ma “secondo Dio”, Gesù non doveva soltanto “soffrire ed essere ucciso”, ma doveva anche “risorgere il terzo giorno”. Pietro è rimasto impressionato dalla prima parte delle parole di Gesù, riguardanti la sua morte, e non ha afferrato la seconda parte, riguardanti la sua risurrezione.

E Gesù reagisce energicamente: “Va’ dietro a me, Satana”: lo chiama “Satana”, perché, “come Satana è il tentatore che cerca di sovvertire il disegno di Dio, così tu, Pietro, cerchi di distogliermi dal compiere la volontà di Dio”. Cioè, Pietro, in piena buona fede e perché voleva bene a Gesù, ha “rimproverato” Gesù, ma in quel momento ha fatto la parte di Satana, del nemico di Dio. “Pensando secondo gli uomini e non secondo Dio”, la predizione che Gesù sarebbe “risorto il terzo giorno” è stata totalmente oscurata e disattesa, mentre per Gesù era il punto culminante del disegno di Dio, perché in tanto Gesù ha avuto la forza di affrontare la Passione e la Morte di croce, perché era certo, aveva la ferma Speranza, che Dio Padre lo avrebbe risuscitato; e perché la redenzione del genere umano è stata stabilita da Dio nella Morte e nella Risurrezione di Gesù.

Questo ci fa capire che per essere collaboratori di Gesù, dobbiamo tenere i sentimenti al loro posto, cioè subordinati alla Volontà di Dio. E ci fa capire, anche, che le sofferenze, alle quali sono sottoposti tanti fratelli e sorelle, e anche tanti innocenti, sono la “prima parte” della profezia di Gesù: “doveva “soffrire molto e venire ucciso”, ma poi c’è la “seconda parte”, cioè : “e risorgere” il terzo giorno”. Cioè, la sofferenza e la morte non sono fine a se stesse; sono finalizzate alla risurrezione.

Gesù guariva tutti i malati e ha risuscitato i morti: questo vuol dire che non vuole che l’uomo soffra e muoia; ma lui stesso ha scelto volontariamente la sofferenza e la morte per “ridurre all’impotenza colui che della morte ha il potere” (Ebr 2,14), cioè il diavolo, e per distruggere il peccato, che è la vera morte dell’uomo. E facendoci partecipi della sua sofferenza con la nostra sofferenza, ci fa partecipi anche della sua risurrezione. Gesù è morto ed è risorto: noi moriamo con Gesù e risorgeremo con Gesù: “Se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo  con lui, sapendo che Cristo risuscitato dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di lui” (Rom 6,8-9).

“Allora Gesù disse ai suoi discepoli: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. Se vogliamo “andare dietro a Gesù” dobbiamo rinnegare noi stessi, perché Gesù è tutto impegnato nell’amore di Dio e degli uomini e questo richiede l’umiltà, e il sacrificio di se stessi. Ma Gesù aggiunge subito:  “Perché chi vuole salvare la propria vita la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà”. Quindi, “rinnegare se stessi, prendere la croce” non è fine a se stesso ma è per “trovare la vita”, nella gloria di Dio: “Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni”.  – S. Teresa di Gesù Bambino, con i polmoni divorati dalla tubercolosi, disse: “Non pensavo che si potesse soffrire tanto”; ma, sorretta dalla Speranza del Cielo, disse: “Che grazia avere la fede! Se non avessi avuto la fede, mi sarei data la morte senza esitare un solo istante” (Ultimi colloqui, 22 settembre. “Opere complete, p. 1112).

O Maria, aiutaci a credere alla risurrezione di Gesù e alla nostra risurrezione con Lui.

P. Antonio Francesconi, Barnabita

 

SCEGLIERE ORA LA VERA VITA
Mt 16, 21-27 – XXII domenica del tempo ordinario
Commento per lavoratori cristiani

  1. È in ballo la vita!
    Da questa prospettiva vogliamo entrare nel brano del vangelo di oggi, che inizia con un paradosso. Gesù, infatti, è appena stato riconosciuto da Simon Pietro come il Messia e Figlio di Dio, e in questo contesto di rivelazione gloriosa ha consegnato al discepolo e alla Chiesa tutta il potere di perdonare (cfr. vv. 16-19). L’animo generoso di Pietro, ma anche le nostre naturali passioni, spingono a pensare quindi che si tratti di una vita impegnativa, ma di successo, coronata di esiti e di gratificazioni. Per uno scopo nobile, con l’autorità che viene direttamente da Dio. Non dovrebbe esserci via più comoda per una vita piena e felice.
    Invece, il Maestro provvede subito a sconquassare le acque. Vorrebbe forse già mettere in chiaro le cose, ma percepiamo dalla risposta di Pietro che sarà invece ben duro lasciarsi convincere dalla realtà. La vita del Messia, infatti, sarà ben lontana da una camminata facile e gloriosa verso la realizzazione del Regno, e avrà piuttosto i connotati di una dolorosa salita al monte del patibolo. La via del Signore è via di abbassamento e di servizio, non di dominio schiacciante e perentorio.
    Per Simon Pietro, come per ognuno di noi, attaccati alla vita tanto da cercare di evitare sempre ogni più piccola sofferenza, giacché la sofferenza insidia la convinzione di essere immortali, la proposta di Gesù è inconcepibile. E scatena la più appassionata e sincera reazione, a difesa proprio della vita. O almeno di come lui – e noi – la concepisce. È curioso il dramma che vive il primo papa: chiamato a diventare roccia su cui si fonda la costruzione del nuovo tempio spirituale di Dio, egli si pone alla stregua dei sassolini che, infilandosi tra i piedi dei pellegrini, si trasformano in insidiosi ostacoli che fanno incespicare e cadere chi vi inciampa. Questo è il significato dello ‘scandalo’. Questo è il modo consueto di porci nei riguardi di Gesù, quando la sua proposta scardina la nostra idea di una vita il più possibile estranea all’esperienza del dolore, e per questo esageratamente centrata a proteggerci… dalla vita stessa!
    Sì, perché proprio di questo in fondo si tratta. Di vivere pienamente, di smetterla di rannicchiarci da soli dentro un bozzolo di assicurazioni ed egoismi, che ci impediscono invece di buttarci e di sprigionare le immense potenzialità di amore innescate dallo Spirito in noi. Amare è anche soffrire. Ma è vita meravigliosa, vita vera!
    Dobbiamo capirci su cosa intende Gesù per vita, e che cosa invece comprendiamo noi, facilmente assimilabili al Pietro di turno. Il vangelo gioca con le parole, ma per evitare che noi giochiamo con la vita. Piuttosto la prende sul serio: la vita di Gesù, che è la vita di Dio, e la vita di ogni uomo, che è chiamato a partecipare della vita di Dio.
    Dunque è opportuna una distinzione. Vi è una vita intesa come vita fisica, come dono che ci fa stare al mondo, come partecipazione all’energia vitale di tutto il creato. È una vita già propriamente umana, che comprende l’esistere in quanto persone, nel corpo e nella psiche, buona di suo perché voluta da Dio. E nel percepire in noi questa vita, riscontriamo un innato desiderio di non perderla, di camminare in questo mondo il più a lungo possibile: bramiamo una vita che non finisca, e magari anche che non dolga troppo. A questo si riferisce Gesù quando invita a non voler “salvare la propria vita” (v. 25).
    Perché vi è un’altra vita, che è quella dello spirito, che viene dall’Eterno e vi ritorna. E che tuttavia non è estranea all’altra vita, non è staccata e astratta. Anzi, è talmente intrecciata da coesistere nella stessa persona, in ogni persona. La vita dello spirito è incarnata nel corpo di ogni uomo e di ogni donna, tanto che mai è esistito un uomo o una donna senza lo spirito. Non è propriamente l’anima, che riguarda la dimensione psichica ed affettiva della persona, secondo il linguaggio paolino. Ma è un livello più profondo ancora: è l’ambito che rende ciascuno di noi aperto al trascendente, è lo spazio che ci abilita a uscire da noi stessi nelle relazioni di fraternità e di fede, è il contesto dell’interiorità dove veramente ci si incontra con il Signore già adesso, gustando una primizia di quello che sarà un giorno il nostro incontro definitivo con Lui.
    A questo livello, l’unico veramente umano al punto da renderci fin d’ora divini, Gesù vuole condurre i suoi discepoli. Questa è la vita che “troverà” (v. 25) chi sarà capace di staccarsi progressivamente dalle necessità dell’altra vita, o meglio degli altri livelli dell’esistenza: quelli che sono importanti, perché ci rendono spiriti incarnati, ma non essenziali, perché prima o poi passano e accedono anche loro a una dimensione altra: la resurrezione!
    Come è trascurata questa vita dello spirito! Pur essendo la nostra parte più autentica e bella, quella che vale l’originalità di ciascuno tanto ambita nel rincorrere affannosamente il potere del mondo e la ricchezza, strumenti che invece lasciano vuoti e amareggiati i cuori, troppo assetati di infinito per potersi accontentare di qualsiasi altra effimera compensazione.
    Con chiarezza Gesù mostra la via per accedere in noi alla vita vera. È la strada dell’apertura all’incontro con Lui, attraverso una precisa e adeguata organizzazione dei ruoli: Lui davanti, a fare strada, e noi dietro, a ripercorrerne le orme, anche quando queste salgono per gli impervi dirupi del Calvario. Poiché la sofferenza, la rinuncia, l’umiliazione sono esperienze inevitabili, per chi ascolta il grido che sale profondo e alto dall’intimità dello spirito che ci abita. Nel limite del corpo e dell’anima, non si può negare l’esperienza di incompiutezza in essi racchiusa. Ma per chi ascolta e agisce di conseguenza, Gesù promette – e il Padre realizza – che le ferite dell’umanità diventeranno squarci di accesso alla pienezza della divinità. Di fatto, non sfugga – come capita nella foga al povero Pietro – che l’ultima parola dell’annuncio pasquale di Gesù (v. 21) non è la morte, ma il traboccare della vita: la resurrezione!

Padre Luca Garbinetto
Pia Società San Gaetano