Incontro Laici di San Paolo – Zona Italia in streaming
21 agosto 2020

Hospitium et schola:
i
Figli di san Paolo tra vecchie e nuove prigioni

P. Filippo Lovison, b

Ben trovati cari Laici di San Paolo, confratelli, consorelle angeliche e membri della Famiglia Zaccariana che vi siete collegati a questo incontro estivo, a più voci, in streaming; grazie per ascoltare e per la disposizione a crescere nella fede ricevuta nel giorno del vostro battesimo. Non vi farò oggi una lezione di storia ma mi soffermerò con voi sulla nostra contemporaneità, dando alcuni spunti di riflessione su I Figli di san Paolo tra vecchie e nuove prigioni, in attesa di iniziare con passo sicuro il nuovo anno di attività del Movimento, che inizierà a ottobre per tutti i gruppi in Italia. Viviamo in una contemporaneità caratterizzata dall’incertezza, che ci spinge più che mai a metterci alla ricerca di ciò che è essenziale: il crocifisso, come quello che vedete nell’immagine, fatto con semplici foglie di mais intrecciate! Domenica scorsa ricordate è stata la domenica della fede di una donna semplice! La forza di questa fede ci riporta a un momento particolare della vita di San Paolo.

Dagli atti degli Apostoli: In quel tempo il re Erode cominciò a maltrattare alcuni della Chiesa. E uccise di spada Giacomo fratello di Giovanni. E vedendo che ciò dava piacere ai giudei aggiunse di far catturare anche Pietro. In realtà Pietro fu fatto sì imprigionare ma fu liberato miracolosamente dall’angelo, mentre Paolo fu fatto arrestare dal sinedrio nel 58, che avrebbe voluto lapidarlo, ma Paolo fu salvato dal tribuno romano Claudio Lisia, che fece intervenite i suoi soldati. Paolo si appellò a Cesare e nel 60 partì per Roma per essere interrogato dall’imperatore Nerone. Vi arrivò nel 61 e gli fu permesso di starsene da sé con un soldato che lo custodiva. Dimorò così per ben due anni in Roma, in uno stato di libertà vigilata; era agli arresti domiciliari e non poteva uscire di casa.

E così Paolo, il più grande missionario della storia della Chiesa, che aveva ovunque predicato liberamente Cristo, si trova ora “imprigionato” in attesa di giudizio, in un regime di custodia militaris extra castra, ossia fuori del carcere vero e proprio, quello Mamertino, avendo preso dimora presso la Chiesa di San Paolo alla Regola, non lontano dalle rive del Tevere, all’interno del territorio della nostra parrocchia di San Carlo ai Catinari in Roma. Paolo, guardato sempre a vista da un soldato, poteva però ricevere visite e svolgere una intensa attività di predicazione: “visse e insegnò” (Hospitium et schola si legge ancora oggi sull’arcata della chiesetta), e così leggiamo nel racconto degli atti degli apostoli, cap. 12 in poi. Hospitium et schola: “Vivere e insegnare” ci insegna Paolo, in ogni circostanza! Paolo era stato rinchiuso in casa per una epidemia che allora si chiamava persecuzione religiosa, oggi il covid 19 chiude noi in casa, ed è questo un pericolo più insidioso non tanto perché invisibile quanto perché generatore di paure ataviche; pensate che tre flagelli nella storia dell’umanità invocano fin dal medioevo la misericordia di Dio: a peste, fame et bello libera nos Domine. Non solo dobbiamo affrontare il rischio quotidiano del contagio, le limitazioni alla libertà di movimento, di relazione, di associazione, di culto, di istruzione, e quant’altro, quanto l’angoscia di diventarne noi stessi possibili propagatori tra i nostri cari in primis, coloro che ci vivono più vicini, e, in aggiunta, a nostra insaputa: e così dubitiamo di tutti anche di noi stessi! E questo paralizza il cuore.

Ma fermiamoci qui per un momento e ritorniamo alla Roma del I secolo dopo Cristo; ci sorprende il modo con cui l’apostolo Paolo affronta l’epidemia d’odio contro i cristiani, tra le mille incognite della persecuzione. Dopo tanto sudato e sofferto lavoro pastorale, in quei tempi così cupi Paolo non si chiede più chi è il cristiano (non elabora più teorie), non guarda più dietro di sé con nostalgia (non scrive memorie), ma agisce e lo fa con energia inaspettata, guarda avanti… continuando a evangelizzare, a insegnare Cristo anche dal chiuso della sua dimora forzata in San Paolo alla Regola.

Che cosa significa questo per noi oggi? Che non c’è nulla da aspettare! L’interruzione prolungata ormai da mesi degli incontri nei nostri gruppi a causa della pandemia non deve preoccuparci né distrarci dal nostro compito essenziale, che è sempre quello di ieri di oggi e di domani: conoscere e vivere il Vangelo per insegnare Cristo con gli occhi di Paolo! Ma come fare oggi? Con la pandemia molte sicurezze, stili di vita, conquiste sociali, libertà personali sono state ridotte o seriamente compromesse. Il mondo sta cambiando, ma non dobbiamo avere paura! Anche se ovunque si parla di decadenza, di un ritorno indietro, al passato, al dopo guerra, come se stessimo perdendo il migliore mondo possibile. Ma è proprio vero che questo nostro mondo di oggi sia il migliore in assoluto nella storia dell’umanità? Quante ingiustizie, sfruttamenti, distruzioni, guerre, tragedie, fondamentalismi, violenze, consumismi. Non sarà forse l’inizio di un nuovo mondo migliore del precedente, una straordinaria opportunità?, per lasciarci così alle spalle vecchie nuove prigioni: religiose a causa dell’assenza di Dio e del fondamentalismo, personali a causa della perdita del senso di peccato, familiari a causa dell’incomprensione e mancanza di dialogo, matrimoniali a causa dell’infedeltà e perdono, comunitarie a causa della poca carità, sentimentali a causa della mancanza di rispetto, economiche a causa dello sfruttamento del lavoro, sanitarie a causa della sofferenza, e quant’altro; come uscire da queste prigioni per le quali corrisponde una stigmatizzazione personale e sociale che brucia dentro di noi, per aprirsi alla libera fecondità dell’annuncio di un Dio misericordioso? Dalle nostre piccole e grandi prigioni dove non entra mai la luce di Cristo, guardiamo a san Paolo che esorta ad essere sempre evangelizzatori coraggiosi e gioiosi di speranza. Paolo sa che lo attende il martirio, ma non vive come se fosse giunto all’epilogo di una fine annunciata, e dai suoi arresti domiciliari, benché privo di libertà, guarda avanti e semina. Ma come? Se a Roma Paolo vive la sua ultima tappa missionaria, Atti 28,14, la sua prigionia domiciliare ci insegna che qualsiasi rotta o cammino degli uomini, se vissute nella fede possono diventare veicolo della salvezza di Dio attraverso la Parola della fede. E’ la Parola di fede che è il lievito, il fermento che trasforma le situazioni e apre vie nuove…

Gli Atti, se prestate attenzione, accortamente accompagnano Paolo a Roma, ma non ne descrivono il martirio, si fermano poco prima del ciglio del burrone, per farci capire che non è quello l’importante; invece puntano tutto sulla semina abbondante della Parola, poco prima del baratro. La Parola con Paolo giunge definitivamente nel cuore dell’impero romano, parola inarrestabile che vuole comunicare a tutti la salvezza. E le ultime parole di un uomo sono le più sacre. Tre considerazioni:

  • Paolo incontra a Roma anzitutto i suoi fratelli in Cristo, ma stranamente non si limita a loro; subito va in cerca dei lontani, ma come fa non potendo uscire di casa? Malgrado la condizione di prigioniero in casa, Paolo incontra nella sua casa i notabili giudei, li invita dunque al suo domicilio coatto per parlare loro del regno di Dio. Egli cerca di convincerli riguardo a Gesù, partendo dalle scritture, mostrando la continuità tra Cristo e la speranza di Israele. Paolo si professa ebreo e vede nel vangelo che predica, ossia nell’annuncio di Cristo morto e risorto, il compimento delle promesse fatte al popolo eletto. Paolo continua parlando loro giorno dopo giorno malgrado l’indurimento di molti cuori.
  • Luca negli Atti non si sofferma dunque sulla morte di Paolo ma sul dinamismo della sua predicazione, di una Parola che non è “incatenata” (2 Tim 2,9). Paolo non ha la libertà di muoversi, ma è libero di parlare perché la parola non è incatenata, e semina nei cuori, e apre la sua casa a chiunque voglia ascoltarlo circa la conoscenza di Cristo. Parla e la Parola fa il resto, avanza libera e veloce tra i viottoli dell’Urbe e del suo impero come in questo momento corre sui bit del digitale.
  • Questa casa, diventata per lui prigione, aperta a tutti i cuori in ricerca di Cristo è l’immagine della Chiesa e dunque di noi che la costituiamo e ne facciamo parte, che pur perseguitata, fraintesa, avvilita, ammutolita, non si stanca di aprire le porte e accogliere ogni uomo e donna per annunciare l’amore di Dio Padre reso visibile in Gesù.

Cari Laici di San Paolo, l’Italia che è stata il cuore della cristianità si presenta soprattutto in questa fase di pandemia confusa e stanca di Dio. Dove è la fede? La pandemia ha acutizzato la perdita della centralità della Chiesa nella vita quotidiana dei nostri fratelli. I lontani dalla Chiesa si sono triplicati negli ultimi 25 anni. Oggi solo 1 su 5 partecipa regolarmente ai riti religiosi. Un declino, una decadenza indiscutibile che la pandemia amplifica in forma esponenziale. Ma che cosa significa decadenza? Si entra in decadenza nella misura in cui un uomo singolo come coloro che compongono una famiglia, un gruppo, una comunità, una società, una chiesa, un popolo, non credono più nel domani, non hanno più speranza, attendono scoraggiati un qualcosa che verrà da dove mai verrà; sono più le attività che finiscono, le persone che muoiono, le opere che chiudono, che le attività che iniziano, i nuovi che arrivano, le opere che si aprono. Ma a noi non interessa qui elaborare astratte analisi e teorie sulla durata della vita degli ordini religiosi, e del nostro in particolare pur stretto tra mille difficoltà, quanto come San Paolo il guardare avanti e darsi da fare ora nel donare speranza soprattutto ai giovani di cuore, grazie alla nostra fede e alla nostra testimonianza. Prendiamo sul serio l’insegnamento di Sant’Antonio M. Zaccaria: fratello, inizia dalla riforma di te stesso, del tuo cuore!, non avere paura.

In questa situazione di pandemia impariamo dunque a riscoprire e valorizzare tante cose belle, a partire da quello che siamo, dal luogo dove ci troviamo, dal tempo in cui viviamo: dalle nostre famiglie, piccole chiese domestiche. Se non possiamo uscire di casa, non lamentiamoci né rimpiangiamo il tempi passati, ma facciamo della nostra casa un tempio dello spirito, e preghiamo il Signore perché lo Spirito renda capaci anche noi, come Paolo, di impregnare le nostre case di Vangelo e di renderle cenacoli di fraternità, pregando di più in casa, leggendo di più la Bibbia in casa, accudendo agli anziani e gli infermi presenti in casa, dando testimonianza ai più giovani che vivono in casa, insomma crescendo e insegnando quella Parola che fa nascere la fede; fede che tutto può! Questo voleva Sant’Antonio M. Zaccaria che visitava le case dei laici e si intratteneva con le famiglie e forse mai come in questo tempo anche noi barnabiti, angeliche e laici di san Paolo mostriamo poca fede, aggrappandoci a ciò che non è essenziale, perdendoci tra false sicurezze, nostalgie e rivendicazioni, mondanità e egoismi terreni.

Guardiamo in faccia la realtà ma viviamola e fecondiamola di spirito paolino. Se non possiamo più fare riunioni, perché non fare le riunioni dei gruppi, dividendoci in piccoli gruppi, nelle case degli stessi Laici e poi condividerne i frutti di preghiera e di riflessione con tutti attraverso lo scambio personale, epistolare, telefonico, digitale e quant’altro? Perché L’assistente e il Responsabile non possono andare nella case dei Laici a rotazione per rincuorare nella fede ed esortare alla carità? Perché non raccogliere nella case dei tesorieri dei gruppi generi alimentari e offerte per poi distribuirli ai poveri del vicinato? Perché non aprire la porta di casa o solo anche la finestra per condividere l’eco della recita di un rosario o di un canto mariano? Perché non andare a visitare e portare consolazione a chi vive solo in casa, a chi vive solo negli ospizi, a chi vive solo nelle periferie delle nostre città senza più un lavoro? E mille altre cose, odori, sapori, suoni di vita cristiana.

Ricordate: “visse e insegnò” (Hospitium et schola); vivere e insegnare Cristo, sempre fino all’ultimo respiro! Dobbiamo essere dunque uomini e donne di speranza e insegnare ad amare la speranza Cristo Gesù. Gli uomini si allontano dalla Chiesa ma il senso religioso, la sete di Dio non si sono esauriti. E la parola non è mai stata “incatenata”, nessuno la può incatenare, neanche il covid-19, ma solo la nostra tiepidezza insegna Sant’Antonio M. Zaccaria. Siamo noi che poniamo tanti ostacoli e problemi, che rendiamo difficile e complessa la vita, che seminiamo amarezza, disillusione e disincanto, uccidendo sogni e speranze! Siamo noi i tiepidi! La narrazione di Luca conclude: “Paolo trascorse due anni interi nella casa che aveva preso a pigione e accoglieva tutti quelli che venivano a lui. Annunciando il Regno di Dio e insegnando loro cose riguardanti il Signore Gesù Cristo con tutta franchezza e senza impedimento” (Atti, 28,30). Paolo non si è mai dunque lamentato della sua prigionia domiciliare romana, ma ne ha fatto motivo di evangelizzazione e di salvezza. E noi? come Paolo troviamo nuove vie per vivere appieno il nuovo anno che inizia ringraziando Dio di non avere vissuto il covid 19 in prima persona né come medici, né come sacerdoti al capezzale dei morenti abbandonati a loro stessi, né per fortuna come pazienti o familiari o amici di pazienti almeno per la maggiore parte di noi.

Tornati dalle vacanze, riprendiamo a vivere gioiosi e speranzosi in Cristo, per Cristo e con Cristo. Che Dio vi benedica nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, e vi porti la sua consolazione.