Omelia dl 25 aprile 2021. IV Domenica di Pasqua /B.

“Io sono il buon Pastore. Il buon Pastore dà la propria vita per le pecore”.

La differenza tra il buon Pastore e il pastore mercenario sta nell’appartenenza: il buon pastore è quello al quale le pecore appartengono; il pastore mercenario è quello al quale le pecore non appartengono. L’appartenenza fa sì che il buon pastore dia la vita per le pecore, mentre il mercenario le abbandona.

Noi apparteniamo a Gesù, innanzi tutto perché ci ha creati, e poi perché Gesù è Dio che, facendosi uomo nel seno di Maria Vergine, è divenuto nostro fratello: “il primogenito tra molti fratelli” (Rm 8,29).

Essendo nostro Fratello, Gesù ci “conosce”: ci conosce, non come noi possiamo conoscere un persona qualsiasi, ma ci conosce nel suo amore: “Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me  e io conosco il Padre”: Il Padre “conosce” Gesù perché è “il suo Figlio diletto” (Col 1,13); e Gesù “conosce” il Padre perché è “presso il Padre con quella gloria che aveva prima che il mondo fosse” (Cfr Gv 17, 5). Gesù ha portato un’analogia, un paragone, per farci intendere quanto è profonda la conoscenza d’amore che ha per noi; noi possiamo riferirci alla “conoscenza” dei genitori: la conoscenza di un padre e di una madre per il figli, non è soltanto una conoscenza intellettuale, ma è una conoscenza d’ amore, intuitiva, vitale.

Quindi, Gesù ci “conosce” perché il suo amore per noi è radicato nel suo Cuore; “Di generazione in generazione durano i pensieri del suo Cuore, per salvare dalla morte i suoi figli, e nutrirli in tempo di fame” (Salmo 32 – Antifona d’inizio della Messa nella festa del Sacratissimo Cuore di Gesù).

Ecco perché S. Pietro dice: “In nessun altro c’è salvezza, non vi è infatti sotto il cielo, altro nome dato agli uomini nel quale è stabilito che noi siamo salvati” (Atti 4,12).

“Io sono il buon Pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me”: questa “conoscenza” reciproca tra Gesù e noi, adesso avviene nella fede con cui ascoltiamo la Parola di Gesù; nei Sacramenti, soprattutto nell’Eucaristia;  nell’amore fraterno; dopo la morte, in Paradiso avverrà come ce lo rivela S. Giovanni: “Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è” (I Gv 3,2). “Lo vedremo”: per dire che la conoscenza d’amore che è incominciata su questa terra sarà piena nel godimento dell’amore di Dio, del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo: “E io ho fatto conoscere il tuo nome  e lo farò conoscere perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro” (Gv 17,26).  Così  ha pregato Gesù, e questa preghiera si realizza adesso nell’oscurità della fede e in Cielo nella Luce della visione di Dio.

Gesù, che ci conosce nel suo amore divino è il fondamento della nostra Speranza: della Speranza della nostra salvezza eterna, ma anche della speranza per superare i tanti mali che ci sovrastano nella vita terrena. Pensiamo, in particolare, al male della pandemia. Dobbiamo pregare per tanti nostri fratelli che ne sono morti e per quelli che sono contagiati. Il Papa ha voluto che il mese di Maggio ci trovi impegnati nella recita del S. Rosario per ottenere la grazia della fine della pandemia. Ogni sera, dai canali della Santa Sede, alle ore 18. “Da tutta la Chiesa saliva incessantemente la preghiera a Dio” (Atti 12,5). Il Papa stesso aprirà questa grande preghiera il 1° maggio e la concluderà il 31 maggio.    

P. Antonio Francesconi, B