L’UMILE PRECURSORE – Mc 1, 1-8 – II domenica di Avvento B

L’inizio è opera del precursore. La venuta del Messia comincia dai preliminari, come ogni autentica esperienza di amore. Il cammino di avvicinamento all’incontro con l’inviato dall’Alto necessita ancora di una tappa, dopo i passi inquieti della storia di salvezza che hanno marcato il ritmo altalenante dell’Antica Alleanza. Giovanni, il Battista, è l’espressione di questa cura immediata da parte di Dio di preparare gli animi e le menti al compimento.

Il vangelo di Marco sottolinea che da qui si avvia il processo di svelamento del dono atteso, ma sconvolgente. La potenza del Messia si manifesterà nell’azione dello Spirito, il che indica la costitutiva dimensione della grazia. Prepararsi, allora, secondo le esortazioni pressanti di Giovanni, non significa obbligare al veniente la propria entrata in scena: quest’ultima è pura gratuità, decisa per totale benevolenza del Cielo. Prepararsi, con quanto abbiamo di noi che ricada nelle nostre possibilità, vuol dire scoperchiare il tetto delle nostre ambizioni e abbattere il muro dell’autosufficienza, per renderci semplicemente conto di quel che siamo: peccatori bisognosi di perdono.

Non si potrebbe, diversamente, riconoscere e accogliere qualcuno del quale non si attendesse il senso e la venuta. Di fatto, accadrà proprio questo per molti, soprattutto i capi del popolo e i dotti della terra: Gesù, fragile nascituro a Betlemme e Unto di sconcertante normalità, verrà rifiutato e disprezzato da coloro che non sapranno abbassare le proprie convinzioni egocentriche alla rivoluzione del Dio fatto uomo.

A noi, che desideriamo ritrovarci tra la schiera di coloro che invece aprono la propria casa al Signore, il Battista suggerisce il modo per non essere sprovveduti. La conversione, nella sua visione, ha molto a che vedere con l’esercizio della buona volontà e l’impegno di opere secondo la Legge. Nulla di male, anche se constatiamo facilmente l’inefficacia di una salvezza fondata soltanto sui nostri sforzi. Però Giovanni parte da un quadro della persona umana che in realtà funzionerà da puntello alla rivelazione definitiva da parte di Gesù. Il Battista, infatti, è ben consapevole di essere soltanto il precursore, e fa alleanza innanzitutto con la propria naturale debolezza. Il vigore della sua predicazione, il successo della sua opera rituale, l’accorrere massivo della gente di Israele a cercare luce dalla voce di questo rude profeta del deserto non funzionano come elementi di seduzione per lui.

È l’umiltà di Giovanni ciò che fa di lui il vero antesignano del Messia. È la capacità di mettersi da parte, pur rivestendo con decisione e consapevolezza il proprio ruolo di messaggero. È la radicalità della propria coscienza di peccatore a renderlo solidale con gli altri peccatori di Israele e a maturare in lui lo spazio interiore necessario perché acceda nella propria vita l’azione salvifica della Grazia.

Giovanni, insomma, non predica agli altri o per gli altri soltanto. È uomo in intima connessione con la propria interiorità, e da lì sgorgano anche le sue scelte radicali e il suo coraggio nel gridare quando potrebbe essere che nessuno lo ascolti. Così diviene per noi un monito, ma anche un audace esempio del modo in cui vale la pena prepararsi. Qualsiasi gesto di carità, qualsiasi “buona azione” decidiamo di attuare nel tempo prezioso dell’Avvento, sarà certamente uno strumento utile per attendere il Natale di Gesù, ma soltanto se maturerà dentro una consapevolezza rinnovata di essere creature deboli e dipendenti dall’opera di salvezza di un Altro.

Ecco perché ci fa bene contemplare l’austero stile di vita del cugino del Maestro, come memoria vivente di una nudità congenita alla creatura umana, che da soli mascheriamo e camuffiamo, come fecero i nostri progenitori (cfr. Gen 3,7), ma che invece il Creatore e Padre avrà ben cura di trasformare in abito di gloria. Ci verrà soltanto chiesto di imparare a stare umilmente davanti alle fasce da neonato che avvolgeranno il Figlio fatto Bambino.

P Luca Garbinetto – Pia Società San Gaetano

Omelia del 6 dicembre 2020 – II Domenica di Avvento /B.

“Consolate, consolate il mio popolo – dice il Signore Dio”: “Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che la sua tribolazione è finita, la sua colpa è scontata, perché ha ricevuto dalla mano del Signore il doppio per tutti i suoi peccati”. Il popolo d’Israele, essendo stato deportato in Babilonia, era stato costretto alla schiavitù, ma così aveva pagato la sua colpa. Ora la colpa è stata scontata e la liberazione è vicina: il popolo d’Israele ritornerà dall’esilio sotto la guida di Dio stesso: “Ecco il vostro Dio! Ecco, il Signore viene con potenza …Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri”. Dio viene a salvare il suo popolo: come un tempo lo ha liberato dalla schiavitù dell’Egitto e lo ha guidato nel deserto fino alla terra promessa, così lo guiderà in questo nuovo esodo da Babilonia a Gerusalemme.

Ma per questo ritorno, bisogna preparare la strada: “Nel deserto preparate la via al Signore, spianate nella steppa la strada  per il nostro Dio. Ogni valle sia colmata, ogni monte e ogni colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in vallata”. Se l’oggetto immediato di questa profezia è il ritorno d’Israele dall’esilio, l’oggetto ultimo è la venuta del Messia, che dovrà liberare Israele e l’umanità intera dalla schiavitù del peccato. Per cui, dobbiamo cercare il significato simbolico dalla “valle”, del “monte”, del “terreno accidentato”, del “terreno scosceso”.

La “valle” è “un’ampia e profonda depressione della superficie terrestre”: dev’essere innalzata, cioè colmata, affinché il cammino del popolo non sia ritardato. La depressione naturale della terra può essere il segno della depressione morale, dello scoraggiamento, della tristezza: condizioni spirituali che non si addicono ad un popolo che cammina col Signore incontro alla libertà. La “valle” della tristezza dev’essere colmata dalla gioia. Infatti l’Avvento è caratterizzato dalla letizia: ”Rallegrati, esulta, santa città di Dio: a te viene il tuo Re. Non temere, la tua salvezza è vicina” (2 ant. ufficio d. letture I Dom. di Avvento).

Il “monte è “un rilievo naturale che si eleva molto in alto” e costringe il popolo ad aggirarlo per poter continuare il cammino. Può essere il segno della superbia, che è “eccessiva stima di sé accompagnata da ambizione  smodata e da disprezzo verso gli altri”. La superbia dev’essere abbassata nell’umiltà, nella modestia e nella semplicità. Non si può camminare con Dio  con la superbia nel cuore.

Il “terreno accidentato è un terreno “irregolare, pieno di ostacoli, con imprevisti e difficoltà”. Può essere il segno di una vita disordinata, sregolata. La sregolatezza va corretta col mettere ordine nella propria vita, avendo come guida il timore di Dio e la virtù della  prudenza, ordinando se stessi e tutte le cose secondo Dio..

Il “terreno scoscesoè “un terreno che frana, precipitando giù e rovinando quello che incontra”. Può essere il segno delle nostre passioni, che, se non sono tenute sotto controllo, si trasformano in tentazioni e le tentazioni in peccato. Per questo, Gesù ammonisce: ”State bene attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita.. vegliate e pregate in ogni momento”  (Lc 22, 34.36). Facciamo il proposito di una buona confessione, per rimetterci nella verità di fronte a Dio e tornare liberi e gioiosi.

Maria, Madre nostra, ci aiuti a camminare col Signore verso il santo Natale, nella letizia, nell’umiltà, nell’ordine, nella mortificazione delle nostre passioni.

P. Antonio Francesconi, B.