TRACCE DI OLIO NUZIALE – Mt 25, 1-13 – XXXII domenica del tempo ordinario
Commento per lavoratori cristiani
Ma da dove viene, questo Sposo, atteso dalle vergini?
Il Cantico dei Cantici dice che l’amata si alza, e fa “il giro della città per le strade e per le piazze”, e dal suo cuore sgorga un grido di smarrimento, forse di angoscia: “Voglio cercare l’amore dell’anima mia. L’ho cercato ma non l’ho trovato” (Ct 3,2). Così le dieci vergini della parabola, che escono incontro allo Sposo. E ci si immagina di vederlo là, dentro un palazzo meraviglioso, ad attenderle, perché comunque, come raccontano altri passi evangelici, egli è il Figlio del re, e il banchetto nuziale sarà imbandito nelle ricche sale del padre di lui.
Le donne vanno, cinque sagge e cinque stolte, ma tutte spinte dallo stesso desiderio di lui, dalla stessa passione di amore che abita il cuore delle fanciulle e rende fresco il loro danzare. Raccontano gli esegeti che era tipico del rito nuziale ebraico portare piccole lampade in mano, da parte delle future spose, che facilmente esaurivano l’olio per la fiamma. E si intrecciavano così tradizionali danze per riempire di nuovo i piccoli preziosi oggetti, a illuminare la notte dell’attesa.
Questa attesa dello Sposo si prolunga, la trepidazione cresce, forse la stanchezza, ma soprattutto la sensazione di essere al cospetto di un mistero grande.
Dove sta, lo Sposo? Perché tarda?
È la ferita della Chiesa “malata d’amore” (Ct 5,8), che va e aspetta. È il mistero di un Oltre, che sappiamo essere il mistero del Dio creatore, che avvolge l’intera creazione, che si affaccia e scompare (cfr. Ct 5,4-6). Il sogno che dimora nell’intimo delle giovani donne è che l’abbraccio dell’Amato avvolga il proprio corpo esile e bello, e che sotto la testa scivoli il braccio che sostiene chi si appoggia per riposare (cfr. Ct 2,6). Dormire è segno di abbandono, le vergini sembrano ripetere il mistero originale del sonno di Abramo, che riporta alla condizione di fragilità ma anche di consegna, inerme, a Colui che tutto può perché tutto conosce.
Si appisolano, le fanciulle, e la notte avanza. Quando si alza il grido che annuncia l’arrivo dello Sposo la sorpresa coglie chi non è preparata. La fiamma va riaccesa, solo chi porta luce in sé può riconoscere Colui che viene. Perché la luce stessa ha le striature dell’Amato.
Cosa sono, infatti, quei piccoli vasetti colmi di olio che solo le sagge hanno preso con sé? E perché non li possono condividere per dare speranza anche alle altre?
Sembra di poter riconoscere in essi il simbolo di ciò che, nella vita, nel cammino del giorno, esse hanno incontrato e riconosciuto come passaggio dell’Amato. Sono la scia del suo profumo, le tracce dell’Unto che – ora lo cominciamo a intuire – non sta dentro le stanze del palazzo, ma è uscito e si muove giorno dopo giorno fra le vie della città.
Ogni ragazza, come ogni altra persona che viene al mondo, è visitata dallo Sposo, innamorato di lei, dentro le ordinarie vicende della vita. Ed è lì che è possibile cogliere la Sua presenza, discreta, ma fedele, silenziosa, ma reale. L’Amato seduce, perché è innamorato. La vigilanza è l’arte di saper raccogliere ciò che di Lui è sparso fra i mattoncini delle viuzze dell’esistenza, i segni del Suo transito, con le fermate, appoggiato ai nostri muri, dall’odore di pace per sconfiggere le paure.
Le vergini sagge sono coloro che hanno saputo stare attenti alle piccole visite dentro l’esistenza normale, da parte del Figlio del Re, che sempre si muove per primo, prende l’iniziativa e viene incontro. È Lui stesso che si presenta al tempio della vita comune, abbandonando definitivamente i confini del sacro, per mostrare che ogni attimo, se vi è un Amato che ama, diviene sacro. Le vergini sagge danzano della gioia di un fidanzamento riconosciuto e goduto nel via vai d’ogni giorno, che è raccolto dentro i vasi di creta della propria fragilità, ma sono già anticipazione del tesoro dell’incontro definitivo.
Così esse non possono cedere quelli che sono i propri personalissimi passi di intimità con lo Sposo, quelli che rendono possibile riconoscerne il profumo e il sorriso nel momento delle nozze. Così ciascuno di noi dovrà fare i conti con la propria capacità di scoprirsi amato gratuitamente, in segni piccoli ma concreti, dentro la propria storia, che diviene – qui e ora – appassionata storia d’amore. Anche nella sofferenza, anche nello smarrimento del tempo.
E così all’accadere della Sua venuta, lo stupore sarà tanto, perché non da un maestoso portone di una reggia, né dai segreti nascosti di inesplorabili stanze principesche scenderà a noi lo Sposo, bensì apparendo, pure Lui, trafelato e gioioso da una viuzza laterale a fianco della piazzetta dove, con le vergini, anche noi ci saremo assopiti. L’ingresso al banchetto nuziale è passo condiviso, tra l’Amato e l’umanità Amata, tra Egli e ogni sua creatura prediletta, che attraverseranno insieme l’ultima soglia senza il tremore della solitudine, ma riscaldati entrambi dal reciproco scambio di riverberi di luce e di brezze profumate.
La morte, così, non fa più paura. E la vita diviene il delicato e commovente preludio di una danza di festa, eterna, i cui passi, fin d’ora, sono sempre di coppia.
Padre Luca Garbinetto – Pia Società San Gaetano
Omelia dell’8 novembre 2020. XXXII Domenica del T.O. / A
“Mentre quelle (le vergini stolte) andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici”. Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”. “Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora” (Mt 25, 10-13).
Lo sposo è Gesù, il Figlio di Dio che ha “sposato” la nostra umanità unendo la natura umana alla natura divina nel seno di Maria Vergine; consumando lo sposalizio sulla croce per liberare l’umanità dalla schiavitù del diavolo e del peccato; incorporandoci a lui e facendoci partecipi della sua morte e risurrezione col Battesimo. “O non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti con lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova” ( Rom 6,3-4).
Gesù che, dopo la risurrezione, è asceso al Cielo, “a un ordine, alla voce dell’arcangelo e al suono della tromba di Dio, discenderà dal cielo. E prima risorgeranno i morti in Cristo; quindi noi che viviamo e che saremo ancora in vita, verremo rapiti insieme con loro sulle nubi, per andare incontro al Signore in alto, e così saremo sempre con il Signore (I Tess4, 16-17). Quindi, questo mondo finirà; Gesù ritornerà; quelli che sono morti prima di quel giorno risusciteranno; quelli che in quel giorno saranno ancora vivi, saranno rapiti insieme con i primi nelle nubi “per andare incontro al Signore in alto”. E infine “ per sempre saremo con il Signore”.
A questo punto, “la porta fu chiusa”: chi sarà “dentro” la salvezza, sarà “dentro” per sempre; chi sarà “fuori” della salvezza, sarà “fuori” per sempre. “In verità, in verità vi dico: è venuto il momento, ed è questo in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio e quelli che l’avranno ascoltata, vivranno. … Non vi meravigliate di questo, poiché verrà l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e ne usciranno; quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna” (Gv 5, 25-29).
La risurrezione è il punto estremo della nostra vita: poi, “la porta fu chiusa”= sarà chiusa: Gesù ci conoscerà oppure non ci conoscerà; ci accoglierà o non ci accoglierà.
A quale condizione? Se avremo preparato, o no, le nostre “lampade con l’olio” dell’amore. Prendiamo due punti del Vangelo
“Dunque tutto ciò che volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo ad essi: perché in ciò consiste la Legge e i Profeti” (Mt 7,12). Questo è l’ “olio” che tutti gli uomini devono preparare.
Poi Gesù ha detto: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13, 34-35). L’amore vicendevole con l’imitazione dell’amore di Gesù, è l’amore che ci caratterizza come discepoli di Gesù.
Ma l’ “olio” dell’amore noi dobbiamo riceverlo da Dio mediante la preghiera: “Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla” (Gv 15,5). Se non si prega, non si ama. Nella catechesi di mercoledì 4 nov., il Papa ha detto: “… anche nei momenti di maggiore dedizione ai poveri e ai malati, Gesù non tralasciava mai il suo dialogo con il Padre” cioè la preghiera.
O Maria, fa’ che ogni giorno prepariamo l’ “olio” dell’amore per accogliere il Signore che verrà, per restare con lui per sempre.
P. Antonio Francesconi, B.