VEGLIARE – Mc 13, 33-37 – I domenica di Avvento B

Commento per lavoratori cristiani

Vegliare, o figlio, è stare desti pronti e volti ad un futuro,

ma col cuore palpitante dentro l’oggi di parole e gesti.

Vegliare da protagonisti vuol dire spendere al presente

le energie migliori, i talenti ad abitar bene ogni momento.

Si veglia a ritmo delle stelle come sentinelle attente

con fiamme di speranza accese in vasi d’olio e delicatezze.

Le ombre e i raggi della luna scandiscono le veglie:

alla sera restando lieti grati al giorno e alle sue conquiste.

Poi si entra nelle tenebre, si veglia a mezzanotte,

con timore che non si realizzi la venuta dello Sposo;

e ci avvolgono paure, guerre, dubbi e anche angosce:

si veglia al buio sospirando una Parola che consoli.

La terza veglia è l’annuncio che l’Aurora ormai ha prevalso

e nella lotta dei contrasti la vita s’accuccia per un nuovo balzo.

Si veglia anche al mattino come culmine di un viaggio

quando irrompe ormai deciso il fulgore del Figlio nato;

vegliare è compimento che quaggiù non è ancora pieno,

che però attraversa il tempo, svela il Volto e non lascia soli.

Vegliare ormai è comando, è dimorare dentro

l’esistenza immensa e fragile che lo Sposo ci ha promesso.

Padre  Luca Garbinetto – Pia Società San Gaetano

Omelia del 29 novembre 2020. I Domenica di Avvento / B

 “E’ tempo di tribolazione, è tempo di preghiera, è tempo di speranza”, così scrivono i Vescovi nel Messaggio rivolto agli italiani per introdurci all’Avvento.

E il profeta Isaia, nella prima lettura di questa Messa, ci aiuta a pregare. “Tu, Signore, sei nostro padre, da sempre ti chiami nostro redentore… Ritorna per amore dei tuoi servi, per amore delle tue tribù, tua eredità”. Con confidenza di figli innalziamo la nostra anima a Dio, che è nostro Padre, sapendo di non restare delusi. Questa certezza, che Dio è nostro Padre e che chiunque spera in lui non resta deluso, ci dà la forza di resistere al male, rafforza la speranza.

Però, il profeta Isaia inserisce nella sua preghiera anche questa lamentela: “Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore, così che non ti tema?”. Il male vero, il nemico più temibile, è il nostro “vagare lontano dalle vie del Signore”; è l’indurimento del nostro cuore, così che “non temiamo Dio”: è non capire che dobbiamo togliere il peccato dall’anima; è – come dice Gesù nel Vangelo, che “quando il padrone di casa ritornerà, giungendo all’improvviso, ci trovi addormentati”.

“Ma, Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani”. Come il Signore “ci plasma”? Come avviene che noi siamo “opera delle sue mani”? Il Signore ci “plasma” e noi diventiamo “opera delle sue mani” mediante il suo  Figlio Gesù Cristo. Il profeta Isaia  aveva detto al Signore: “Se tu squarciassi i cieli e scendessi!”. Ebbene il Signore “ha squarciato i cieli ed è disceso”, perché si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo come noi.

E S. Paolo (II lettura) “ringrazia continuamente Dio  a motivo della grazia di Dio che ci è stata data in Cristo Gesù”: a noi come ai fedeli di Corinto. In Cristo Gesù siamo stati “arricchiti di tutti i doni, quelli della parola”, cioè della parola di Dio, “e quelli della conoscenza”, cioè della comprensione dei misteri della fede.

“Degno di fede è Dio, dal quale siete stati chiamati alla comunione con il Figlio suo Gesù Cristo, Signore nostro!”. Gesù, ha predicato il Vangelo e ha operato la nostra redenzione con la sua morte e risurrezione; ha istituito i sacramenti, particolarmente l’Eucaristia, con i quali  noi comunichiamo con la sua stessa vita.

Questa comunione sarà piena in Cielo. Il senso della nostra vita adesso è: “aspettare la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo. Egli ci renderà saldi sino alla fine, irreprensibili”, cioè per quanto possibile perfetti, “nel giorno del Signore nostro Gesù Cristo”. Ma siamo certi che Gesù non ci abbandona mai: è sempre con noi.

Chiediamo a Maria che ci renda saldi nella fede, ferventi nell’amore, gioiosi nella speranza, fino al giorno del nostro incontro con Gesù.

P. Antonio Francesconi, Barnabita